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OMELIA DI MONS. CAMISASCA PER L'8° GIORNATA PER LA CUSTODIA DEL CREATO.

Omelia nella Messa di Reggio Emilia, Parco del Popolo.

Cari fratelli e sorelle,

la giornata per la custodia del creato, giunta ormai alla 8° edizione, è una felice iniziativa voluta dalla Conferenza Episcopale Italiana per aiutarci a riscoprire il valore immenso della creazione.

Questa bellissima parola – “creato” – molto più dell’altra – “natura” –, che pure è equivalente, ci rimanda all’origine di tutte le cose belle e grandi che ci circondano, che non abbiamo fatte noi, che sono affidate alla nostra cura e al nostro rispetto. È una grande responsabilità, affidata ad ogni uomo direttamente da Dio, un compito spesso dimenticato, disprezzato, calpestato. Eppure esso è un compito che è al centro della tradizione giudaico-cristiana, nel cuore della Bibbia e della storia della salvezza.

Sin dall’inizio del suo pontificato anche Papa Francesco ci ha invitati alla custodia del creato. Il 5 giugno scorso, nell’udienza generale diceva: «coltivare e custodire il creato: è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti... Il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani».

Proprio alla luce di queste parole, è particolarmente significativo il tema che quest’anno la Chiesa italiana ha scelto per giornata odierna: La famiglia educa alla custodia del creato. La famiglia, infatti, è la prima e fondamentale scuola dove si impara a guardare, a conoscere e ad accogliere il dono che Dio fa agli uomini nella natura. Quest’ultima è innanzitutto segno dell’amore di Dio per noi, segno della sua presenza e della sua bellezza. «Risplendo talmente nella creazione – fa dire il poeta francese Charles Péguy a Dio ne’ Il Portico del mistero della seconda virtù – che per non vedermi bisognerebbe esser ciechi».

Eppure oggi si vorrebbe esser ciechi di fronte a certi mostri creati dall’uomo. Periferie di città, anche nella nostra Italia, cresciute senza regole, nel disprezzo di ogni legge, senza luoghi di ritrovo, dove regna la bruttezza che rende brutto l’animo e triste il cuore. Non si può abitare nella bruttezza!

E che dire dello stato di abbandono e degrado di tanti centri? Che dire delle costruzioni abusive costruite sui greti dei fiumi o in riva al mare, che sfidano le leggi della natura? E la terribile abitudine di abbandonare carta, plastica, oggetti ritenuti non più utili lungo le strade, nelle campagne, nei torrenti, nei fiumi?

Tutto ciò offende l’uomo, i luoghi dove vive, ma anche il suo cuore. Perché quando si cancella la bellezza della natura, si rende più difficile il cammino verso la verità: la bellezza, infatti, è una delle principali strade verso la verità.

Naturalmente non dobbiamo mai staccare la natura dall’uomo. L’uomo è il vertice della creazione: tutto è al suo servizio. Proprio per questo deve rispettare e non distruggere e deturpare. Allo stesso modo non può mai considerare la natura come un idolo che può sostituirsi all’uomo stesso o, addirittura, a Dio. I cosiddetti “regni” sono correlati tra loro in un ordine gerarchico e di reciproco rispetto. Per questo non possiamo disporre a nostro piacimento né del mondo vegetale, né di quello animale. Tantomeno possiamo ignorare le leggi proprie dei mari, dei fiumi, della terra. Quando ciò accade si va incontro a conseguenze terribili, a veri e propri disastri ecologici che, infine, si ritorcono sempre contro l’uomo stesso.

Come recuperare, allora una visione equilibrata nel rapporto dell’uomo con la natura? A questo proposito Benedetto XVI, nella sua ultima enciclica – Caritas in Veritate –, parla di un nesso inscindibile tra «ecologia umana» ed «ecologia ambientale» (cfr. n. 51), tra ecologia del cuore ed ecologia del creato. Occorre un cuore attento alla verità e alla bellezza per riconoscere anche nella natura e nelle sue leggi tale verità e tale bellezza. Il dato più allarmante che emerge dalle due posizioni che abbiamo considerato – distruzione della natura o sua idolatria – è, infatti, proprio l’indifferenza di fronte alla verità e alla bellezza.

Ecco allora il ruolo centrale della famiglia: essa è il luogo in cui il bambino viene educato a riconoscere un ordine che non si oppone ai suoi bisogni e ai suoi desideri, ma ne costituisce lo spazio di realizzazione. Nella famiglia il ragazzo è educato a guardare con meraviglia al mare, alla montagna, agli alberi, agli animali… alle cose belle. Viene educato a rispettarle, a non buttare oggetti per le strade, ad esempio, a prendersi cura del luogo dove abita e dove abitano i suoi fratelli e amici uomini. Viene educato a non sciupare la bellezza di un posto per le proprie comodità. In famiglia si impara a sacrificare gli istinti egoistici per amore degli altri. Si impara la carità. Quando manca la carità si annebbia anche la capacità di godere della bellezza. Se noi uccidiamo in un bambino l’amore al bello, uccidiamo in lui e attorno a lui qualcosa di fondamentale, che costituirà un faro di orientamento per tutta la vita.

Preghiamo allora in questa santa Messa per le famiglie, perché siano scuola di umanità per le nuove generazioni. Molto nella nostra società dipende proprio da loro. Vegli su tutti noi la santa famiglia di Nazareth, dove Gesù ha imparato quello sguardo che avrebbe espresso nel più grande elogio del creato: Guardate i gigli del campo! Guardate gli uccelli del cielo! (cfr. Mt 6, 26.28).

Amen.