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UN COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 17 FEBBRAIO


Il discorso di Gesù, chiamato “Le beatitudini”, ha una collocazione che non è la medesima, nei Vangeli. In quello di Matteo è scritto: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte... e si mise a parlare» (5,12). In quello di Luca (Vangelo di questa domenica) è scritto: «Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante... e alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva...» (6,17.20). La soluzione del contrasto è semplice: Luca evoca il contesto storico reale in cui si svolse quel discorso, una pianura di Galilea. Matteo, invece, che nel suo discorso raccoglie altri interventi pronunziati da Cristo in sedi diverse, introduce una cornice simbolica, quella del monte, alludendo così al Sinai e a Mosè: non per nulla si parlerà nel discorso del nesso intimo tra la Legge antica e l’annunzio di Gesù. Rilevante è, poi, la differenza tra le due redazioni delle beatitudini: in Matteo (5,312) sono nove (l’ultima è un’espansione dell’ottava, forse un suo commento), mentre in Luca (6, 20 23) sono solo quattro, a cui però si aggiungono altre quattro “maledizioni” (“Guai!”) parallele e antitetiche. Questo dato, frequente anche in altri confronti tra i testi evangelici, dimostra che i loro autori, tenuta ferma la sostanza, si comportano non come storici in senso stretto creando dei freddi manuali o dei verbali documentari, bensì come “evangelisti” la cui fedeltà è viva e duttile, si apre alle istanze delle comunità alle quali le parole e le memorie di Cristo devono essere trasmesse in modo concreto e incarnato.
Cardinale Gianfranco Ravasi